Chiesa di San Francesco

Località: Amandola

La presenza dei Conventuali francescani ad Amandola è attestata da un documento del 1265. La tradizione vuole che dalla sede originaria in S. Maria Sterparia, posta lungo la cinta muraria, il passaggio nel territorio di San Francesco abbia coinciso con il trasferimento dei frati presso la sede definitiva, a ridosso del Castel Leone. Evidentemente il riflesso della povertà francescana doveva coinvolgere anche la costruzione precaria dell’edificio, che quindi già nel 1313 richiedeva radicali trasformazioni tanto da renderne necessaria la riedificazione, come accertato da un’epigrafe murata sulla facciata; il 1352 sanciva la sua consacrazione col titolo definitivo di S. Francesco (Statuti Comunali, 1336). L’edificio ad unica navata, semplice nella sua struttura architettonica, termina con un’abside poligonale. Sulla facciata rettangolare con coronamento a timpano, si apre il portale di tipo lombardo con leggero strombo, formato da eleganti piastrini tortili alternati e definito da un arco a tutto sesto inglobante una lunetta; sull’architrave la scritta: “MCCCCXXIII FACTUM TEMPORE M.RI ANTON. (ius) EGIDIJ” che continua, separata da un rosoncino, con “ANTON. (ius) (de) MILANO HOC OP. (us) FECIT”. Paraste decorate a racemi definiscono alle estremità l’ingresso, mentre nella sommità è una statua dell’Eterno. Le particolari caratteristiche di finanziamento delle opere dei Mendicanti, quali elemosine, lasciti, donazioni, dilatavano oltre misura i tempi di realizzazione, tanto che nel 1429 il portale non era ancora terminato, infatti un testamento del 20 agosto 1429 ne attesta un lascito per il compimento dell’opera. Sul lato destro del presbiterio provenendo dall’ingresso, si apre l’originaria cappella dell’Annunciazione, coincidente col primo ambiente della torre campanaria. Alcune tracce dell’originale decorazione pittorica si apprezzano sulla volta “a crociera” in cui sono raffigurati i quattro Evangelisti mentre sulla parete sinistra, l’unica completamente affrescata, campeggia l’Annunciazione compresa fra le immagini dei Ss. Giovanni Battista e Ludovico; a completare la superficie una Crocefissione, nel lunettone sovrastante. Nell’intradosso dell’unica monofora S. Bernardino da Siena si contrappone a S. Antonio da Padova. Il confronto corre naturalmente alla teoria di immagini lungo le pareti della chiesa di S. Salvatore in Campi di Norcia (1464), ma ancor più calzante è il paragone con gli analoghi soggetti di S. Maria Bianca di Ancarano, lungo la provinciale Norcia-Preci-S.Eutizio. Opere entrambe della bottega degli Sparapane, di Antonio in particolare, come questa di Amandola eseguita intorno al 1476. Restauri relativi al pavimento alla facciata, alle sepolture della chiesa (5623) ed ai lavori nel convento sono confermati da una lapide, in onore del predicatore, padre Andrea Ascenziani, posta a lato dell’ingresso alla cappella dell’Annunciazione. Sullo stesso lato a metà della navata principale si accede alla piccola cappella dedicata a S. Sebastiano. Edificata nel corso degli anni fra il 1486 ed il 1492 da macstranze forestiere, sotto la guida di mastro Venanzio Lombardo, è caratterizzata dalla semplice facciata ornata da due statuette trecentesche raffiguranti l’Annunciazione, inserite ai lati di una Madonna con Bambino in affresco, del bolognese Pompeo Bagnoli, eseguita intorno ai primi decenni del XVII secolo (1620). L’interno, a pianta rettangolare, contiene il maestoso altare ligneo scolpito nel 1653 da Scipione Paris di Matelica (1612 — 1701) e dorato da Giovanni Palocci. E’ sicuramente uno dei migliori esempi di simmetria compositiva, nato nell’ambito della produzione di bottega: quattro colonne scanalate, due per lato, decorate per un terzo della base con motivi floreali e terminanti con capitelli corinzi che sostengono un timpano aperto centralmente, su cui si affaccia una colomba circondata da putti. Una cornice scolpita con quindici formelle raffiguranti i “ Misteri del Rosario “, dipinti dal Malpiedi, attestante il passaggio della chiesa alla Confraternita del Rosario (1616), costituisce un degno contorno al pregevole affresco quattrocentesco (5492) della “Madonna del latte”, opera del pittore ginesino Stefano Folchetti (doc. 1492 – 1513). Di fronte, un’opera di artigianato locale, la balaustra in legno policromo degli amandolesi Giuseppe e Filippo Benattendi. Nel catino absidale della chiesa, posta su una croce di recente fattura, campeggia l’imponente statua lignea scolpita secondo i canoni iconografici del Cristo “Triunphans”, cioè trionfante sulla morte nella resurrezione. Proveniente dall’abbazia dei Ss. Vincenzo ed Anastasio, i capelli sono raccolti, lunghi e divisi nel centro, in lunghe trecce. Baffi e barba particolarmente curati definiscono le labbra sottili, il naso è lungo ed aquilino, gli occhi sono aperti ed indossa il “colobium”, la tunica medioevale, legata in vita con un doppio nodo, tipica caratteristica sacerdotale. Sul torace un breve incasso, probabilmente un reliquiario. Datato verso la fine del ‘200, le braccia sono state considerate di epoca posteriore (XV sec.), La torre è stata riportata nello stile originale lombardo alla fine del ‘800 dopo che un rifacimento barocco ne aveva modificato la struttura. L’attiguo chiostro si dispone su due ordini di arcate poggianti su tozze colonne esagonali, interventi di ristrutturazione sono stati eseguiti nel corso del XVII secolo (prima del 1636) a cui si ricollegao le lunette raffiguranti scene divita di San Francesco con distici esplicativi sottostanti, in cui i blasoni delle diverse famiglie amandolesi sono stati raffigurati quali benefattori dell’opera di restauro.

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