Altra abbazia diametralmente opposta rispetto a quella dei Ss. Vincenzo ed Anastasio è il; complesso di S. Ruffino e Vitale, lungo la sponda destra del fiume Tenna. Il Ferranti (1891) afferma che in un documento del 20 luglio 1267, i signori di Monte Pasillo (località adiacente a Comunanza), vendendo al Comune di Amandola 180 famiglie con il castello ed il monte di Marnacchia, vollero mantenere intatti i diritti che il monastero aveva su tali beni; dieci anni dopo tale situazione si ripeteva per i beni venduti dai signori De Smerillo. Queste considerazioni hanno suggerito che questo monastero fosse di giuspatronato della famiglia di Monte Passillo imparentata, fra l’altro, con i De Smerillo. Non esiste documentazione antecedente se non per congiunzioni artistiche rilevate nel tempio ipogeo, grotta, o nella cripta di una primitiva chiesa sulle cui fondazioni è stato successivamente costruito l’attuale complesso, risalente all’epoca romanica. E’ questo un ambiente primitivo coperto a botte e scavato nel tufo la cui unica apertura è costituita da una finestrina posta nella zona absidale; sulle sue pareti è scritta una delle pagine artistiche più antiche della regione, che viene messa in relazione con l’analogo percorso liturgico della cripta di S. Vincenzo al Volturno (824-842): una lunga teoria di santi, in parte identificati dal nome, a grandezza quasi naturale e con il palmo delle mani affiancate rivolto verso la mano benedicente del Santo Padre nel centro dell’abside. Le condizioni delle immagini ne rendono difficile la lettura. La chiesa soprastante romanica, intersecandosi con l’altro percorso, si articola in tre navate distinte da colonne di cui la centrale ricoperta da capriate le laterali, in origine, da crociere; un alto presbiterio inscritto è accessibile mediante una scalinata centrale nella già citata cripta di S. Vincenzo, mentre ai lati, due aperture conducono alla cripta sotto il monastero. Questa è caratterizzata da cinque navatelle, di cui quelle laterali più ampie con volte a crociera che farebbe supporre una datazione intorno all’XI secolo. Si può supporre però anche una datazione più tarda, in ragione delle caratteristiche di accentuato geometrismo da tozze colonne terminanti con pulvino decorato a foglie angolari. Nell’abside centrale, in un contenitore, i resti umani di quello che la tradizione vuole sia S. Ruffino, venerato da chi è portatore di ernia. Per molto tempo infatti che i malati di ernia guarissero o trovassero sollievo dalle sofferenze passando per tre volte sotto uno speciale altare. La facciata, rimaneggiata, si compone di un portale ai cui lati sono ricavate due finestre mentre quella sovrastante è stata aperta nel XVIII secolo. La zona absidale, sottoposta a restauri nella parte alta, è composta da un’abside centrale scandita da paraste e chiusa in alto da una cornice decorata a beccatelli e denti di sega e due absidi laterali di cui, quella di sinistra è completa, mentre la controlaterale è solo accennata (si scorgono ancora nell’angolo fra la torre e la chiesa residui in pietra che farebbero supporre un’altezza simile alla abside principale). Lungo il fronte sud si sviluppa il convento disposto su due piani di cui quello superiore adibito alle celle monastiche; racchiude un cortile centrale con unico ingresso esterno nella parete est; la torre quadrangolare del XIII secolo, di cui un restauro è documentato nel 1429, permette il collegamento fra il convento e l’edificio religioso; nel prospetto est è ancora visibile lo stemma del Comune di Amandola.
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