L’Abbazia di San Benedetto in Valledacqua sorge nel territorio di Acquasanta Terme, lungo la via Salaria, nella vallata a monte del Castello di Luco, su di un sito già abitato in epoca picena. Il toponimo Valledacqua ha origini remote ed è legato a quello di Aqui e ad aquas, riportato nella Tabula Peutingeriana. Al nucleo antico della chiesa dedicata a S. Benedetto, rinvenuto nelle fondamenta dell’attuale presbiterio, di piccole dimensioni, con abside semicircolare ad est, per volere di Adamo, abate di Farfa e poi vescovo di Ascoli, fu aggiunto un monastero intorno all’anno Mille. Le numerose donazioni ai monaci farfensi accrebbero il prestigio dell’insediamento monastico e testimoniano il fervore religioso, economico e sociale, promosso dalla comunità religiosa. L’abbazia vide diversi ampliamenti con la trasformazione della chiesa nelle forme attuali. La nuova navata e la parete absidale furono correttamente orientate e affrescate con numerose figure di santi; la facciata, con un solo portale sormontato da una piccola monofora analoga a quella dell’abside fu realizzata con piccoli conci di travertino ben squadrati. Damiano, il plebano de Aquis, è ricordato nel pagamento delle decime degli anni 1290-1292 e per l’incaricato della riscossione delle decime del 1299. Il Catasto ascolano del 1381, sotto Sindacatus Vallis daqui elenca le innumerevoli proprietà dell’abbazia con la formula rem Sancti Benedicti. Una disputa per l’usufrutto dei beni del monastero tra il preposto di S. Benedetto con quello precedente, divenuto vescovo, fu risolta in favore del primo nella bolla del papa Bonifacio IX del 1395. Tra il 1476 e il 1499 i monaci farfensi di Valledacqua decisero di raccogliere fondi e realizzare affreschi in onore delle Vergine, dei quali resta una pregevole Madonna col Bambino, sulla parete del presbiterio. Nella visita pastorale del vescovo Camaiani del 1571 non si fa più menzione dei monaci e l’abbazia viene descritta come chiesa parrocchiale; in quella successiva di mons. Aragona, del 1580, la chiesa, posta sotto lo ius patronatus della famiglia Sgariglia e di altri compatroni, si presentava con tutte le strutture in uno stato di grave fatiscenza tanto da minacciare il crollo per le numerose crepe apertesi nei muri. Si ritenne di trasferire la parrocchia nella vicina chiesa di S. Iusta e, sentiti duos fabros murarios, il Magister Laurentius Scorzi lombardus e il Magister Iacobus lombardus, si decise di abbattere le parti più pericolanti della costruzione e di ridurne le dimensioni. I lavori iniziati nel 1605, interessarono la demolizione di gran parte del monastero e della torre campanaria, originariamente con quattro campane. Venne sistemata la zona presbiteriale con la realizzazione di una volta a botte sopra l’altare maggiore, impostata sui muri laterali del presbiterio e appoggiata alla parete absidale esistente. Furono sopraelevati i muri della chiesa: tre nuove finestre sostituirono le piccole monofore e un piccolo campanile a vela con una sola campana fu innalzato a coronamento della facciata. L’antica abbazia fu ridotta agli attuali due corpi del monastero addossati ai lati della navata della chiesa. Ulteriori trasformazioni si ebbero nel 1738, come testimonia la data scolpita sull’architrave di una finestra del primo piano del lato ovest, e dopo la visita pastorale nel 1740 di mons. Marana che stabilì di riparare il tetto e di realizzare un nuovo pavimento e un controsoffitto. Parte del monastero fu bruciato e saccheggiato dalle truppe piemontesi nel 1860, ricostruito dal parroco negli anni successivi, l’organismo architettonico assunse la forma attuale. Successivamente, l’abbazia fu oggetto di interventi di manutenzione che la conservarono in buono stato fino a quando le condizioni statiche si aggravarono a causa del terremoto del 1972. In seguito ai dissesti e ai crolli dovuti al sima del 1997, un sapiente intervento sinergico degli Organi dello Stato con l’Istituto Diocesano Sostentamento Clero di Ascoli Piceno ha sortito un rapido recupero dell’abbazia e ha permesso nel 2002 il ritorno di una prestigiosa comunità monastica, camaldolese, tra le sue antiche mura.
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