“Là, sovra i gioghi dell’Appennin selvaggio, fra l’erte rupi una caverna appar: vegliano le sirene quel faraggio, fremono i canti e fanno delirar.” (Giulio Aristide Sartorio, nel suo poema drammatico Sibilla, 1922)
“Essendo volgata la fama di detto lago che quivi soggiornano i diavoli e danno risposta a che li interroga si mossero già alquanto tempo alcuni uomini di lontano paese et vennero a questi luoghi per consacrare libri scellerati e malvagi al diavolo, per poter ottenere alcuni suoi biasimevoli desideri, cioè di ricchezze, di onori, di arenosi piaceri et simili cose” (Leandro Alberti, “Descrittione di tutta Italia”, 1557).
I Monti Sibillini sono un angolo di mistero. Nel medioevo erano conosciuti in tutta Europa come regno di demoni, negromanti e fate. Nel Novecento il giornalista e scrittore Guido Piovene li ha definiti “i più leggendari dell’Italia centrale”.
Tra le numerose leggende le più famose fanno riferimento alla grotta della Sibilla e al lago di Pilato.
La grotta della Sibilla era probabilmente conosciuta sin dall’età preistorica. Le testimonianze letterarie risalgono allo storico latino Svetonio. Secondo la tradizione la grotta era abitata da una misteriosa profetessa (La Sibilla Appenninica) che, secondo alcuni, potrebbe essere la Sibilla Cumana, esiliata da Dio nelle profondità dell’Appennino (Il Monte Sibilla) per esserglisi ribellata. La leggenda vuole che l’oracolo abbia attratto i cavalieri erranti che, dopo aver superato dure prove, potevano vivere con la Sibilla per un solo anno, per essere poi condannati alla dannazione eterna. Moltissimi scrittori si sono ispirati alla leggenda della Sibilla Appenninica, tra cui Andrea da Barberino, con il romanzo cavalleresco “Il Guerrin Meschino” e Antoine de La Sale, scrittore francese, nel “Il Paradiso della Sibilla” del XV secolo. In Germania, alla fine del Trecento, nacque la leggenda del valoroso cavaliere Tannhäuser, che si reca sul Monte Sibilla, chiamato Venusberg, (Monte di Venere).
Ai secoli XIII-XIV risale, secondo testimonianze letterarie, la denominazione del lago di Pilato. La leggenda narra che Ponzio Pilato, condannato a morte da Vespasiano, ordinò che il suo cadavere fosse lasciato su un carro trainato da due bufali. Questi giunsero da Roma sulla cima del Monte Vettore (il monte più alto della catena dei Sibillini e delle Marche) e da lì si gettarono nel lago, che da quel giorno è popolato da demoni. A partire dal XIII secolo le autorità religiose ne proibirono l’accesso, ponendo come monito una forca all’inizio della valle. Secondo la leggenda il lago di Pilato sarebbe il lago Averno, da cui si entra nel mondo degli Inferi. È l’unico lago naturale delle Marche e uno dei pochissimi laghi glaciali di tipo alpino presenti sull’Appennino.
Sui Monti Sibillini ci sono molti altri luoghi segnati dal passaggio della leggenda della Sibilla: le “fonti delle fate”, i “sentieri delle fate” e la “strada delle fate”. Le fate si muovevano tra il lago di Pilato e i paesi limitrofi, tra i quali Pretare (Arquata del Tronto), dove ancora oggi la rappresentazione “La Discesa delle Fate” custodisce e rievoca la memoria della presenza di queste creature.
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