La Grotta della Sibilla, detta anche grotta delle fate, è una caverna ricavata nella roccia e raggiungibile solo a piedi. Si trova a 2150 m s.l.m., nei pressi della vetta del Monte Sibilla che appartiene alla Catena dei Monti Sibillini. La grotta deve il suo nome alla leggenda della Sibilla Appenninica, secondo la quale essa non era altro che il punto d’accesso al regno sotterraneo della Regina Sibilla. Andrea da Barberino, con il suo romanzo cavalleresco Il Guerrin Meschino, contribuì alla divulgazione della leggenda. Ci racconta la storia di un cavaliere errante che si recò dalla Sibilla per ritrovare i suoi genitori. Per un anno, soggiornò nella grotta e resistette, con tutte le proprie forze, alle tentazioni invocando il nome di Gesù Nazareno. Numerosi filologi ritengono anche che quella della Sibilla Appenninica sia stata la fonte principale di un’altra celebre leggenda, quella tedesca del Tannhäuser, la quale, in effetti, presenta innumerevoli analogie con la storia del Guerin Meschino. Il complesso ipogeo è descritto, sulla scorta dei racconti popolari raccolti sul posto, per la prima volta nel 1420, dal francese Antoine de La Sale che si reca alla grotta su ordine della Duchessa Agnese di Borgogna. Egli però a causa delle frane già avvenute nell’alto medioevo all’interno della grotta, può disegnarne (con rara precisione) soltanto la pianta topografica del vestibolo dell’antro ancora conservato intatto. Questo importante documento è conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Si tratta di un ampio spazio circolare, con sedili di pietra scavati tutt’intorno nella roccia “intalieux tout entour”. Una più recente e senz’altro affidabile descrizione, la quale tuttavia non si discosta di molto da quella del de La Sale, è fornita a metà XX secolo dal Lippi-Boncambi: lo studioso fu uno degli ultimi visitatori della grotta prima che l’ingresso crollasse definitivamente a seguito di un utilizzo scellerato di esplosivi che, invece di contribuire ad aprirla ulteriormente, ne causò la chiusura forse definitiva.