La prima documentazione sull’esistenza di un ospizio intitolato a S. Maria Maddalena risale all’anno 1327. La costruzione fu ordinata dai canonici di S. Pietro di Roma i quali avevano accolto positivamente la proposta del Concilio di Efeso del 325 d.C. che impegnava la Chiesa in istituzioni caritatevoli. Essi, quindi, istituirono un “hospitale” per i pellegrini ed i poveri, nella “piana di Acquasanta”, lungo la “via Salaria romana”, non lontano dalle acque termali. Fino al 1653, anno della dipartita dei frati Conventuali, l’ospedale e la Chiesa sono stati all’altezza del loro compito caritativo grazie soprattutto ai rogiti di molte famiglie. Infatti già intorno al 1330 venne fatto obbligo a tutti i notai ascolani di invitare le persone che rogavano un testamento a favorire con qualche lascito l’ospedale; ciò testimonia l’importanza unica che questo istituto aveva dovuto assumere rispetto ad altre istituzioni religiose e civili per le quali non valeva lo stesso provvedimento. Nel 1338, quindi, i Canonici di S. Pietro inviarono al monaco di servizio, fra Gerardo la bolla per l’erezione di una chiesa accanto all’ospizio, mentre nel 1381 il Catasto ascolano riportava la proprietà anche di alcuni appezzamenti di terra riferiti “all’hospitalis S. Marie Magdalene”, frutto della generosità dei benefattori. Per quanto riguarda invece i beni interni alla chiesa, è del 1506 il primo documento scritto relativo a un dipinto “una immagine di S. Marie Magdalene”: furono il Sindico della chiesa ed i Massari di Acquasanta a commissionarlo ad un pittore non nominato nel documento; non doveva comunque trattarsi del primo dipinto in assoluto, poiché di altri, certamente anteriori (quali i due affreschi sul muro sud della chiesa), non restano attestazioni. Non è rimasta traccia di commissione neppure del grande dipinto, risalente al periodo della maturità di Cola dell’Amatrice (1519-33), rappresentante la Vergine ed il Bambino in trono, con attorno i santi protettori contro la peste, S. Sebastiano e S. Rocco, ed i santi patroni delle due chiese di Acquasanta, S. Giovanni e S. Maria Maddalena; si può però congetturare che la tavola sia stata eseguita da Cola e donata agli Acquasantani per ricompensarli della loro ospitalità agli Amatriciani, nel 1529. Lo stesso vale forse per il prezioso tabernacolo. In occasione della peste del 1526, la Maddalena si arricchì, all’esterno, sul lato sud, della Cappella dedicata a S. Rocco, con loggia coperta e pavimento fatto a “schiazze” di travertino. Intorno al 1540 il complesso di S. Maria Maddalena risultava soggetto alla chiesa di S. Maria della Carità di Ascoli (detta la Scopa) e, insieme, ai Canonici di S. Pietro. Il disinteresse mostrato da questi istituti per le vicende di Acquasanta in tale periodo, portò i componenti di una Confraternita (Fraternales), forse intitolata al Crocifisso, a fare della Maddalena la loro sede e ad eleggere, con l’autorità concessa loro da tutti “gli homines et universitas ville Acquesancte”, il priore della istituzione. Si trattava di Donno Giacomo Filippo Bartolomei di Ravenna, alias Fratino, a cui affidarono il compito di dirigere l’istituzione per il bene della chiesa e dell’ospedale, e “perché i miseri e i poveri vi ricevano la carità che si è soliti offrir loro da tempo immemorabile”. L’anno dopo la nomina di Fratino a Priore del Complesso della Maddalena (1541), il Vescovo Filos Roverella visitò la chiesa e la trovò invasa da gente proveniente da ogni parte, attratta dalla pietà che promanava dal Crocifisso della Confraternita e facendo della Maddalena il centro di una efficiente aggregazione sociale. Intorno al 1543 il complesso della Maddalena comprendeva, oltre la chiesa e l’ospizio, un chiostro, l’abitazione del Priore comunicante con la chiesa per mezzo di una scalinata, una franchigia di terreno molto vasta che raggiungeva “le Vene sul Tronto e sul Rio” e tutto il terreno intorno alla chiesa, oltre a un pezzo di terra nei pressi del ponte Garrafo. Da questo momento, senza necessità di ricorrere ad elezioni periodiche gli Acquasantani pensarono di rivolgersi all’ordine di S. Francesco per avere un servizio permanente, e nominarono così il primo guardiano (custodem) del Convento della Maddalena: fra Costantino da Force. Ebbe così inizio un periodo di 103 anni di stabilità per la chiesa, con vantaggio spirituale e materiale del paese: risiedevano in Convento il guardiano e un confratello, che si avvicendavano frequentemente con altri confratelli in conformità alle regole dell’ordine francescano. Nel 1653 si chiuse, con l’inventario e la dipartita di Conventuali, un capitolo di storia religiosa e civile molto intensa per la popolazione di Acquasanta. Le carte d’archivio non dicono con chiarezza che cosa sia avvenuto subito dopo la partenza dei Conventuali, né come si sia passati, a partire dal 1671, alla nomina di un abate per la chiesa della Maddalena. Nel 1659 diventò Cappellano della Maddalena Don Egidio Franceschini di Acquasanta; durante il suo mandato fu in sintonia con la Confraternita e con l’amministrazione comunale che lo gratificò di “offerte per il decoro del tempio”. Con il suo interessamento Don Egidio fece accrescere i beni della Maddalena con la contrada Campo Longo in Quintodecimo. Nel 1673 il Vescovo Filippo Monti visitò il complesso e trovò, quale guida, Don Giuseppe Palombini il quale gli rivelò la presenza, alla Maddalena, della Confraternita. Nella relazione della Visita si legge che la chiesa aveva due porte, una che guardava verso la piazza (oggi piazza Collina) e l’altra verso il Convento (palazzo Celani: dal che appare chiaro che l’attuale porta principale non esisteva); la chiesa aveva inoltre la tribuna (abside), e all’altare maggiore si trovavano “il tabernacolo di legno tutto dorato ed il quadro di legno con le immagini della Vergine, S. Giovanni Battista, S: Sebastiano, S. Rocco e S. Maria Maddalena….”. Nel 1685 con la visita pastorale del Vescovo Fadulfi si chiese ai Confratelli l’apertura di una finestra tra l’altare di S. Giacomo e quello di S. Antonio per una maggiore luminosità nella navata e si comandò di porre dei vetri chiari sulla finestra rotonda dell’abside. Quando il nuovo Abate Pietro Carboni divenne titolare della Maddalena per nomina papale (1711) venne ordinata la chiusura della finestra del presbiterio, di quella ai piedi della chiesa e di rialzare il tetto della sagrestia in modo da permettere l’accesso alla campana. Tra il 1798 e il 1815 durante la prima fase napoleonica la Maddalena diventò quartiere delle milizie transalpine per i 5 mesi in cui esse stazionarono ad Acquasanta e, secondo una relazione di Mons. Angelo Mariotti di Acquasanta, in quella occasione i soldati danneggiarono seriamente il quadro di Cola dell’Amatrice. Nella seconda fase napoleonica la chiesa rimase per diverso tempo chiusa in attesa del passaggio al Demanio: la stima per Mons. Mariotti del Sig. Billa, Direttore del Demanio, ne consentì la riapertura a titolo privato e con l’obbligo di non chiedere contributi per la relativa manutenzione ed ufficiatura. Il fatto valse quasi una condanna al graduale abbandono e si affacciò il pericolo dell’incameramento dei beni della Maddalena da parte degli uffici napoleonici. Il complesso aveva comunque già attraversato il periodo più buio della sua esistenza ed il marchio dell’abbandono e della decadenza lo segnarono ancora per qualche decennio: la campana fu portata in salvo a S. Giovanni. Nel 1818 un primo intervento sulla chiesa avvenne sotto il Curato Antonini: l’altare di S. Francesco fu smantellato in attesa di restauro. I lavori, comunque, devono essere stati ridotti al minimo indispensabile perché di fatto, gli strascichi di una chiesa in cattivo stato andarono avanti ancora per anni: una relazione, del sacerdote di Cagnano Francesco Bellini, parla di trascuratezza nell’ambito della Maddalena dove, in occasione delle fiere, si lasciano sostare “…animali e generi profani tanto che si è diruto l’antico portico dei PP Minori Conventuali” e non esiste più il muro divisorio dell’immunità, che comprendeva il “lastricato che è il segno del terreno immune”. Intorno alla metà dell’800, sotto la guida del curato Luigi Massi, accaddero tre cose di rilievo: iniziarono nel ’41 le pratiche del Comune per l’acquisto della contrada Prato, dal ’43 al ’46 si realizzò lo sventramento e abbassamento di circa 6 metri del terreno, situato a sud-ovest della Maddalena per il passaggio della nuova Salaria e nel ’44 si lavorò all’accorciamento di qualche metro della Maddalena sul lato sud, con la chiusura delle porte laterali a est e ovest, e l’apertura dell’attuale porta principale con assetto di tutta la facciata. Nel corso del 1844 la facciata fu ricostruita e si passò subito ai lavori minori ed al pavimento che furono sovvenzionati dalla Misericordia, dal curato Santachè e dal Comune; per la grande porta principale l’amministrazione comunale chiese al Governatore di Arquata di poter tagliare “un arbore di noce di spettanza di questo Comune, vicino al Ponte che si sta costruendo nel Fosso Rio”. Poco prima di morire, il giovanissimo curato Gioacchino Santachè, che fu l’anima dei lavori, stilò insieme a Mons. Mariotti, l’iscrizione sul nuovo portale: D.O.M. Pervetustum templum hoc pharph(ense) div(ae) Magdal(enae) sacrum inde Franciscalib(us) collat(tum) ab Innocentio X sublato coenob(io) abbatial(i) decorat(tum) titu(lo) tandem a Pio VIII Ecclesi(ae) matr(i) aggreg(atum) et denuo rest(auratum) A(nno) D(omini) MDCCCXLV. Nel corso di questo secolo alcune proprietà del complesso della Maddalena furono acquistate da privati come ad esempio l’ex ospedale e degli appezzamenti di terreno. Alcuni restauri alla chiesa furono effettuati nel 1857 che servirono a rendere il locale più accogliente alle truppe piemontesi che, durante l’assedio di Acquasanta del gennaio 1861, se ne servirono da quartiere militare insieme alla chiesetta della Cona ed altri luoghi del paese. La facciata est fu restaurata nel 1869 ed un nuovo altare alla Vergine della Misericordia, con pietre lustrate a marmo, fu eseguito nel 1875.
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